Il diritto all’oblio ai tempi di Google

Il diritto all’oblio ai tempi di Google
08 Gennaio 2018: Il diritto all’oblio ai tempi di Google 08 Gennaio 2018

Nel linguaggio poetico di Ugo Foscolo l’oblio era considerato il nemico della vita eterna, dell’immortalità umana, che la poesia poteva garantire attraverso il ricordo. Oggi, al contrario, questo termine è principalmente legato alla pretesa/diritto di ogni cittadino a che siano rimossi dalle pagine web i contenuti che lo dipingono in maniera non attuale e che sono idonei a lederne reputazione e riservatezza. Il diritto all’oblio, di matrice fondamentalmente giurisprudenziale, ha trovato una prima regolamentazione a livello europeo con il Regolamento UE n. 2016/679 (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali). Tra le pronunce europee più importanti, invece, possiamo citare la sentenza CGUE Costeja del 13.05.2014 (causa C-131/12), che ha affermato che la prevalenza del diritto all’oblio del singolo individuo, rispetto all’interesse economico del gestore del motore di ricerca e a quello di informazione del grande pubblico, viene meno solo dinnanzi ad un evidente interesse pubblico alla conoscenza del fatto. Qualora quindi non ricorrano l’attualità e l’interesse pubblico alla notizia, il gestore del motore di ricerca è obbligato alla deindicizzazione dei dati; in caso contrario, l’interessato è legittimato a ricorrere alle autorità competenti (Garante per la protezione dei dati e Magistratura ordinaria). In Italia, una questione analoga era stata affrontata dal Tribunale di Milano con la sentenza n. 10374/2016. Nel 2010, un quotidiano nazionale aveva pubblicato un articolo a contenuto manifestamente diffamatorio che, a seguito delle censure avanzate dalla protagonista, era stato eliminato dall’archivio on line. Tuttavia, nel 2012, lo stesso ricompariva nuovamente su un sito web: il testo pubblicato, infatti, era stato indicizzato in modo tale che inserendo il nome e il cognome della ricorrente esso compariva tra i risultati di ricerca di Google. A seguito del ricorso al Giudice ordinario, la donna aveva ottenuto la condanna del motore di ricerca a deindicizzare la URL che riportava l’articolo dal contenuto diffamatorio ed cancellarne le tracce digitali. Secondo il Tribunale, infatti, nel caso di specie non era più sussistente un pubblico interesse alla conoscenza della notizia, visto anche che i dati personali della donna non erano più aggiornati (oltre che non pertinenti ed incompleti). Più di recente, in ambito europeo, si è pronunciata la sezione V della Corte EDU, con la sentenza 19 ottobre 2017, n. 71223-13 (Fuchsmann c. Germania). La vicenda riguardava la richiesta di cancellazione di un articolo dall’archivio web del New York Times attivata da parte di un uomo d’affari residente in Germania. Oggetto di censura era un articolo on line che riferiva i risultati di un’inchiesta dell’FBI inerente i presunti legami tra questo e la criminalità organizzata russa e che, nel frattempo, era finito nell’archivio web del giornale indicizzato dai maggiori motori di ricerca. La Corte EDU, richiamando i suoi precedenti giudiziari in materia, ha colto l’occasione per riassumere i criteri da seguire per un corretto bilanciamento tra diritto all’informazione/libertà di espressione (art. 10 della Convenzione) e diritto alla vita privata (art. 8 della Convenzione). Tali criteri riguardano:
  1. il contributo ad un dibattito di interesse pubblico”, sussistente ove l’articolo contribuisca a informare su questioni rilevanti per la società in quel dato momento;
  2. il carattere di persona pubblica dell’interessato”, da valutarsi in base al ruolo ed alla funzione da questo ricoperte nella società;
  3. il metodo per ottenere l’informazione e la sua veridicità”, in quanto la segnalazione di questioni di pubblico interesse è subordinata alla buona condotta del giornalista nel reperimento della notizia;
  4. la condotta preventiva dell’interessato”, che potrebbe aver già collaborato in precedenza con i giornalisti stessi, fornendo egli stesso informazioni sulla propria vita;
  5. contenuto, forma e conseguenze della pubblicazione”, ove i fattori di un articolo rispettoso dell’interessato sono la verità dell’informazione ricavata da fonti ufficiali o fonti verificabili, la pertinenza e la continenza del contenuto scevro da note inutilmente polemiche o insinuazioni, il rispetto del cuore della vita personale del privato (come storie di famiglia o di salute).
Altro fattore da valutare, poi, è costituito dal tipo di conseguenze/effetti e dal relativo livello di gravità della diffusione della notizia sulla posizione dell’interessato. Nell’ambito di Internet, infatti, la differenza fondamentale si registra tra l’articolo che sia allocato in un archivio digitale non indicizzabile dai motori di ricerca e quello allocato in un archivio che non sia tale: quest’ultimo infatti premette a tutti di accedere in modo immediato all’articolo semplicemente digitando il nome dell’interessato sulla barra di ricerca del motore dedicato. In conclusione, in tutti questi casi il Giudice è chiamato ad effettuare un bilanciamento tra il diritto all’oblio del soggetto interessato da una parte ed il diritto all’informazione/libertà di espressione e il diritto economico del motore di ricerca dall’altra. Se, utilizzando i criteri sopra indicati, emerge una prevalenza del primo rispetto ai secondi, il Giudice deve ordinare la deindicizzazione della URL dell’articolo dagli archivi digitali della testata, cancellando altresì le tracce digitali di tale ricerca.

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